PAED CONCA | CLARINET | ELECTRONICS | ELECTRIC BASS GUITAR | OBJECTS | EUGENIO SANNA | GUITAR | OBJECTS | ELECTRONICS | PATRIZIA OLIVA | VOICE | ELECTRONICS | STEFANO GIUST | DRUMS | CYMBALS | OBJECTS

We play free improvised music
Some of the musicians who played with us in other combinations and ensembles over the years: Tristan Honsinger, Otomo Yoshihide, Steve Beresford, John Zorn, Gino Robair, Derek Bailey, Peter Kowald, Roger Turner, Tobias Delius, Noeel Akchote, Clayton Thomas, Steve Noble, Phil Minton, Luc Ex, Koji Asano, Steve Buchanan, Ken Hyder, Kato Hideki, Michael Wertmueller, Kido Natsuki, Mick Beck, Masashi Kitamura, Yoko Miura, Gianni Gebbia, Hans Koch, Raed Yassin, Stéphane Rives, Liz Allbee, Christian Weber, Jack Wright, Pamelia Kurstin, Tommy Greenwood, Vincent Davis, Roy Paci, Wolfgang Reisinger, Carlo Actis Dato, Chris Heenan, Gianni Lenoci, Bob Marsh, Marco Eneidi, Keiko Higuchi, Guido Mazzon, John Edwards, Michael Zerang, Kris Wanders, Peter Jacquemyn, Herb Robertson, Alessandro Bosetti.

THE SECOND ALBUM “POW”
on Setola di Maiale, 2016

Recensione di Gamra “POW” di Stefano Arcangeli (Musica Jazz, Ass. Pisa Jazz, CRIM) “L’improvvisazione, ricordava Derek Bailey, non è tanto un modo particolare di suonare quanto piuttosto un metodo di produrre musica. Il musicista improvvisatore va alla ricerca di una base sulla quale poter lavorare con chiunque; una volta individuatala ci lavora sopra. E quando lavora con certe altre persone, allora quello può essere l’unico momento in cui occupa quella determinata base. La musica improvvisata comporta una piena comunione di intenti e sentire, una solida preparazione che, sola, evita il caos gratuito e velleitario, e una lucida progettualità che lasci ampio spazio alle intuizioni del momento e che consenta comunque un’ampia libertà espressiva individuale sempre nel rispetto del gruppo di cui ciascun improvvisatore fa parte. Questo eccellente quartetto, colto durante una suggestiva perfomance dal vivo, funziona perfettamente in quelli che sono i suoi meccanismi essenziali, così consentendo la creazione di una musica viva in continuo movimento e mutamento, senza che mai venga perso di vista l’obbiettivo comune, pur nel rispetto e nella piena valorizzazione delle qualità individuali. In Patrizia Oliva la voce umana si fa strumento: ogni istante della sua musica sembra essere l’affascinante risultato dell’incontro di riflessione e piacere, di intelligenza e sensuale gioia. Approfittando della sua notevole estensione vocale, pare celebrare ogni singola nota e ogni singola sensazione, attraverso la visitazione di tutte le emozioni, senza che il virtuosismo fine a se stesso cancelli l’emotività, la passionalità, l’umano calore nel suo desiderio di venir comunicato. Se con Oliva la voce umana si fa strumento, lo strumento (il clarinetto) di Conca si fa voce umana: il suo linguaggio è emotivo e si sviluppa attraverso un ininterrotto susseguirsi di timbri e toni quanto mai vari, spaziando con naturalezza da quelli più alti ed aspri a quelli più bassi, scuri, che conferiscono al suo procedere sonorità arcane di grande efficacia, particolarmente incisivi nelle sequenze che lo vedono impegnato nei frequenti faccia a faccia con la voce di Oliva e con la chitarra di Sanna. Pioniere dell’investigazione del suono e delle sue molteplici risorse timbriche della chitarra tramite la distorsione elettrica (pur sempre al servizio della musica), Sanna si conferma figura imprescindibile nell’ambito della contemporanea musica improvvisata europea. Il ruolo che qui assume non è quello dell’accompagnamento ma quello della frizione, attraverso il quale anima situazioni sempre cangianti, da quelle più riflessive a quelle più furiosamente creative (notevole la sequenza che vede opporsi e miracolosamente integrarsi la sua chitarra e il clarinetto di Conca). Anche il lavoro percussionistico di Giust risulta essenziale: rigettando il ruolo tradizionale di “rhythm maker”, impiega il proprio armamentario come una voce indipendente che liberamente crea sonorità e frasi assolutamente paritarie rispetto alle altre, con esse combaciando perfettamente, controllandone dinamiche e clima dall’interno in un susseguirsi perentorio di intuizioni e soluzioni. Concludendo: un documento importante, affascinante nel suo svolgimento. Una proposta musicale coraggiosa che testimonia la vitalità di scelte espressive meritevoli di maggior diffusione nel nostro paese, ancora troppo legato a canoni estetici di fruizione e a canali massificanti e arretrati.”

Recensione di “POW” di Ettore Garzia per Percorsi Musicali “Tra le novità discografiche in Setola di Maiale qui vi propongo tre quartetti italiani [oltre a questo, Aghe Clope e Il Grande Drago], fisiologicamente differenti, ma che conducono verso un auspicabile concetto di rinnovamento vero del jazz. In un momento in cui si piange la scomparsa di Pierre Boulez, molti ne riconoscono le qualità stranianti, specie quelle che in età giovanile fissarono uno standard impegnativo per l’ascoltatore su più fronti. Da Schoenberg a Messiaen, passando per Cage e Stockhausen, il mondo musicale ha riconosciuto un’eredità scomoda ed influente al tempo stesso, attraverso tanti esperimenti sparsi a macchia d’olio nella formazione dei musicisti di ogni genere e grado. Segnati da questo secondo novecento alternativo, spesso i musicisti ne hanno condiviso le risposte emotive ed ambientali piuttosto che quelle teoriche e negli anni in cui tanto si discuteva di atonalità e serialismo come nuove pietre angolari della libertà nella musica, nel jazz le stesse libertà venivano invocate da Braxton o Mitchell per il free jazz al pari di un sinonimo, facendo nascere una spinta composita vissuta nei territori degli equivalenti improvvisativi: se prendiamo in esame il quartetto di Paed Conca (cl) Eugenio Sanna (ch) Stefano Giust (bt) e Patrizia Oliva (voc) la caratteristica della stranezza del rivestimento musicale ne è ancora una dimostrazione: si è alla ricerca di una articolazione sonora che vive di parecchie constatazioni di raccordo con la contemporaneità della musica e in questo senso è tutto dimostrabile sotto il profilo dei risultati. Sotto un’incalzante percussività (Giust sui carboni ardenti) ottenuta in un concerto tenutosi al Chilli Jazz Festival a Heiligenkreuz nel settembre 2014, si sviluppano due suites che scintillano di elementi incongrui, che si presentano comunque idiomatizzate; soprattutto nella prima “relazione” di pensieri profusa da Let me know your thought (forget my truth), funziona un impervio solismo che libera capacità e lavora sulle potenzialità: Conca con assoli brucianti, Sanna con ipnotismi divisi tra il graffio e il feedback chitarristico, Oliva che stabilisce un ponte tra varie configurazioni della vocalità (sprazzi del canto jazz, del melodramma atonale, della voce alterata dall’elaborazione elettronica, per citarne solo alcune) costruiscono un prodotto ruffiano, impetuoso, a tratti orientalizzato; nella seconda “relazione” la suite Let me know your thought (don’t be silence) impone per approfondimento una situazione ancora più subdola (direi al limite di un viaggio psichedelico), che viaggia in mondi sonori impensabili, guidata dall’assoluta perizia dei quattro musicisti. Inutile quasi ribadire che esperimenti come questi sono una panacea per la musica progettuale.”

Chronique de “POW” de Jean-Michel Van Schouwburg par Improjazz/Orynx-improvandsounds 2016 “Enregistré au festival Chilli Jazz / Limmitationes à la frontière austro-hongroise, ce remarquable quartet met en présence des personnalités tranchées avec des univers bien distincts qui tentent avec succès d’agencer leurs flux, leurs rêves, leurs singularités en créant des espaces, des moments d’écoute ou des vagues d’emportement. La guitare saturée et bruitiste du Pisan Eugenio Sanna dose son énergie brute et électrocutée en respectant la balance du groupe. Ludique. En effet, il y a la voix amplifiée et entourée d’effets électroniques de Patrizia Oliva (loops, réverb) qui raconte des histoires, transforme des mots ou s’élève au dessus de la mêlée voix blanche ou vociférée. Paed Conca transsubstantie le souffle, la colonne d’air, les spirales démultiplie les roulements accentués de guingois de Stefano Giust, un vrai batteur de free-music, ou musarde par dessus les ricochets et les harmoniques. Le jeu détaillé, énergique et aéré de Giust attire l’écoute sans jamais envahir l’espace sonore et se fond parfois entièrement dans les strates respectives de ses camarades. Deux longues pièces où la précipitation côtoie la méditation, où l’action déplace constamment les centres de gravités dans de belles métamorphoses sonores et poétiques etc… Chacun fait de la place à l’autre et tous œuvrent pour que chacun ait son mot à dire avec de multiples niveaux d’énergie, de cohésion ou de charivari assumé. La dynamique de jeu convainc bien au-delà des imprécisions de la prise de sons. Un bon point à chacun et kudos pour ce quartet atypique.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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